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Hal Foster in Design & Crime, affronta in tono polemico la cultura totalizzante del design per arrivare a interrogarsi sulle possibili ragioni di esistenza dell'arte di oggi. L'autore ripercorre alcuni nodi significativi dell'arte del XX secolo partendo dalla consapevolezza da un lato di una fine (dell'arte) incombente, più volte annunciata dalle avanguardie storiche in poi, dall'altro dell'alterazione delle regole del gioco determinata, appunto, dell'onnipresenza del design, complice di un circuito pressoché perfetto di produzione e consumo?.
Nel capitolo conclusivo, l'ottavo, dopo sette precedenti
in cui dimostra puntualmente come le parole di Benjamin,
di Adorno e di Debord abbiano più di un riscontro, non
certo confortante, nella realtà che ci appartiene,
Foster traccia un percorso a partire dalla parafrasi di
una frase di Adorno, dove introduce la condizione di
continuare a vivere. È un'affermazione
coraggiosa, che è interessante considerare come
un'ipotesi di ri-partenza secondo cui l'arte può avere,
nonostante tutto, un peso significativo sul presente.
Hal Foster configura una sorta di tassonomia con la quale
non intende esaurire la questione ma, al contrario,
iniziare a praticarla. Parla di categorie dai
confini porosi e spesso destinate a intrecciarsi tra di
loro, la cui presenza viene rilevata in alcune opere
d'arte ma anche in film e testi letterari. Foster le
introduce come strategie di comunicazione con le quali
gli autori attuano una modalità complessa di relazione
col reale, senza cadere nella tentazione di fare finta
che niente sia accaduto, senza cadere nella trappola
della rimozione. La terza delle quattro (dopo il
traumatico, il fantasmatico e prima dell'incongruente),
è la messa in atto di forme fuori sincrono.
Il fuori sincrono in questa prospettiva, consiste
nell'immaginare un nuovo media a partire dai resti
delle vecchie forme, nel tenere insieme gli elementi che
appartengono a epoche diverse in un'unica struttura
visiva. Poco dopo aggiunge: Fino a non molto
tempo fa il film era il mezzo del futuro, adesso è
l'archivio privilegiato del recente passato, quindi un
elemento fondamentale di questa protesta fuori sincrono
contro la totalità profetica della cultura del
design. In altre parole l'impiego di questo
fuori sincrono incrina dall'interno la
presunzione della modernità nel pensarsi senza tempo e
universale.
Il saggio si conclude con l'ultima nota dove, in realtà
più che chiudersi si apre un'altra strada ancora da
esplorare. Hal Foster chiama in causa lo scrittore di
origine tedesca W.G. Sebald che parla di `vertigo' nel
romanzo che porta lo stesso titolo: Questo è lo
stato mentale della vita `tra i resti della nostra
civiltà dopo la sua estinzione', come dice in Anelli di
saturno (1995). È una malinconia che, paradossalmente,
è svincolata dall'oggetto perduto perché ci sono
troppi oggetti persi da rintracciare, così tanti da
provocare le vertigini. In un certo senso il vertiginoso
è una combinazione del fuori sincrono e
dell'incongruente, dello spiazzamento o disorientamento
in termini spaziali e temporali allo stesso tempo; e le
narrazioni di Sebald cercano senza indugio di
rappresentare questa vertigine e di sopravviverle.
Tacita Dean, dedica uno
dei sette fascicoli che compongono il catalogo realizzato
in occasione della sua mostra personale al Musée d'Art
Moderne di Parigi nella primavera del 2003 proprio a W.G:
Sebald3. L'artista scrive un testo
inserendovi fotografie scattate appositamente, documenti
storici, foto di oggetti personali dove si
rincorrono vicende private della propria famiglia con il
contesto storico, con la fase preparatoria di una mostra
a Düsseldorf, con le parole e le vicende dello scrittore
stesso.
Lo scritto si snoda attraverso una serie di intrecci e di
coincidenze dove il mondo di Sebald entra in gioco a più
livelli. La relazione prende forma in modo naturale e
riguarda il cuore del procedere di Tacita Dean: dare
spazio agli indizi, includere nel proprio percorso le
coincidenze, un processo creativo che, a sua volta, ha
qualcosa affine al percorso di un detective. C'è
un'intenzione dichiarata di partenza ma è attraverso
l'esperienza del viaggio, spesso un viaggio vero e
proprio, che il lavoro prende forma.
I film di Tacita Dean non sono fatti per essere mostrati al cinema. Vivono un rapporto particolare con lo spazio nel quale sono esposti, dove persino la presenza fisica del proiettore gioca un ruolo significativo. Poche scene, inquadrature fisse, la cinepresa ha la funzione di registrare ciò che accade in un tempo scandito dalla lunghezza delle bobine di pellicola; il suono, presenza importante in ogni film, tanto quanto ciò che viene mostrato dalle immagini. In questo senso tornando alle parole di Hal Foster i film dell'artista sono un "nuovo media". Vivono in una dimensione ?fuori sincrono? rispetto alle possibilità che offre il digitale e, paradossalmente, proprio nella presa di distanza dai tempi veloci della contemporaneità e dall'ossessione di una visibilità totale, rimettono in gioco la possibilità di ?continuare a vivere?, ovvero ci mettono nella condizione di recuperare un senso pieno dell'esperienza della visione.
Le storie di singoli individui (come nel caso di Donald
Crowhurst) o di particolari costruzioni (Bubble House,
Teignmouth Electron, Sound Mirrors, Fersehnsturm), gli
eventi cosmici (l'eclisse), atmosferici (il raggio
verde) sono alcuni dei soggetti a partire dai quali
l'artista ha realizzato altrettanti film. A volte la
narrazione si condensa nell'accadere di un singolo evento
(il passaggio all'oscurità e il ritorno alla luce nel
caso dell'eclisse filmato in Banewl), in altri casi
all'origine c'è una storia più complessa che vive nei
testi scritti dall'artista accanto ad ogni singolo
lavoro, sempre a giochi fatti. Per esempio il movimento
del faro e l'arrivo della notte nel caso di Disappearence
at Sea (1996), restituisce il passaggio ciclico del tempo
ma è anche l'attesa invana del ritorno a casa di
Crowhurst dalla regata attorno al mondo.
Al di là dei soggetti, o meglio, attraverso i soggetti, il rapporto con il tempo occupa una posizione di rilievo in tutto il lavoro dell'artista. Quando l'attenzione è concentrata sulle zone d'ombra della modernità, l'accelerazione delle premesse si trasforma in stasi. Il Teignemouth Electron, l'imbarcazione di Crowhurst che, se solo fosse stata attrezzata con più cura, lo avrebbe potuto condurre in mare con la sicurezza necessaria, giace abbandonato su una spiaggia dei Caraibi. A non molta distanza riposa un altro reperto figlio del progresso, la Bubble House, una casa a sfera simile ad una navicella arrivata dallo spazio. I Sound Mirrors sono gigantesche strutture in cemento costruite sulla costa inglese nel periodo successivo alla Prima Guerra mondiale e prima dell'epoca dei radar. Erano stati posizionati lì per difendere il paese dagli attacchi aerei, ma nel giro di pochissimo si rivelarono obsoleti, incapaci di distinguere le fonti di provenienza dei suoni. Oggi sono monoliti silenziosi, testimonianze di un esperimento non riuscito. Il Fersehnsturm è il ristorante girevole sulla torre televisiva nell'ex Berlino Est che tuttora funziona e conserva nella sua forma e nelle movenze delle persone che lì dentro ci lavorano la sua aura mitica legata al comunismo e all'architettura di rappresentanza ad esso collegata. (...)
Nei lavori più recenti, mi riferisco a Mario Merz (2002) Boots (2002) e Baobab (2002), l'artista si concentra nei primi due casi su due "grandi vecchi", nel terzo sugli alberi che, con i grandi vecchi, condividono l'accumulo di esperienza del mondo e la conformazione fisica. In questi lavori, il tempo in questione non è né il tempo che ha problemi irrisolti con un futuro mai arrivato, né il tempo fuori scala dei cicli naturali: entra in gioco una relazione diretta con la vita umana. Si potrebbe parlare di un tempo concentrato sul presente.
Mario Merz condensa in pochi minuti un ritratto di un
artista da un'angolatura decisamente inedita. È il
ritratto di un uomo in età avanzata di cui Tacita coglie
la fragilità, il suo essere allo stesso tempo molto
presente e disancorato dagli affanni quotidiani, poche
parole sparse. Il cambiamento repentino di luce al
sopraggiungere del temporale, seguito dall'uscita di
scena del protagonista i passi per tornare al
chiuso prima dell'arrivo della pioggia danno al
film un inevitabile valore esistenziale.
Boots, dal soprannome del protagonista, è girato in tre
versioni diverse e in tre lingue diverse. È ancora un
ritratto di una persona anziana, un caro amico della
famiglia di Tacita Dean. L'artista lo coinvolge
invitandolo a condurre una sorta di visita guidata
all'interno della Casa de Serralves a Porto. Lui si
presta al compito, conscio del fatto che nessun altro
avrebbe potuto interpretare con la stessa precisione
quella parte, ovviamente in relazione al progetto
dell'artista. Tra le pieghe della sua camminata, Boots
alterna i commenti sullo spazio con accenni di memorie
personali e riflessioni. La moltiplicazione dei racconti,
la scelta per ogni versione di immagini diverse, oltre
ancora una volta a prendere le distanze
dalla narrazione a senso unico del cinema tradizionale,
rende esplicita la possibilità che ogni volta la
storia possa essere vista come un'altra
storia. Lo sguardo dell'artista trasforma in eleganza la
fatica di Boots. Anche in questo caso la fragilità, il
suo procedere con passo incerto appoggiandosi ai bastoni,
acquisiscono una valenza simbolica in relazione ai tempi
della vita: il ritratto di un uomo si allarga fino a
diventare un pensiero poetico su una condizione.
Analogamente i baobab, la cui struttura porta fisicamente
le tracce dell'età, sono alberi ma hanno tratti che li
avvicinano agli umani. Nel film ad essi dedicato, Tacita
Dean attraverso i loro corpi, il rumore del vento e il
quasi niente che sta attorno, comunica la solidità di
chi ha visto molto. Questi alberi sembrano avere
sviluppato la capacità di sopravvivere a tutto ciò che
avviene attorno, un'attitudine condivisa con chi, nel
corso di un'esistenza lunga, ha attraversato eventi
tragici, guerre, bombardamenti, terremoti riuscendo a
sopravvivere e oggi guarda il mondo con uno sguardo denso
e silenzioso, fatto di saggezza e tranquillità. |