breve storia |
introduzione di Christophe Cherix Quando Hans Ulrich Obrist chiese al precedente direttore del Philadelphia Museum of Art, Anne d'Harnoncourt, che consiglio avrebbe dato ad un giovane curatore che sta entrando nell'odierno mondo dei musei, più popolari ma molto meno sperimentali, nella sua risposta lei richiamò con ammirazione la famosa ode all'arte di Gilbert & George: "Credo che il mio consiglio non cambierebbe molto: è osservare e osservare e osservare, e poi osservare di nuovo, perché niente può sostituire l'osservazione... Non sto cercando di essere, in termini duchampiani, "solo retinica", non è questo che voglio dire. Iintendo stare con l'arte - ho sempre pensato che fosse una bellissima frase quella di Gilbert & George, 'tutto quello che chiediamo è di stare con l'arte.'" Come può una persona essere totalmente nell'arte? In altre parole, può l'arte essere esperita direttamente in una società che ha prodotto così tanto eloquio e costruito così tante strutture per guidare lo spettatore? La risposta di Gilbert & George è di considerare l'arte come una divinità: "Oh arte da dove arrivi, chi ha dato vita ad una tale stranezza. Per che genere di persone sei fatta: sei per i forsennati, sei per i poveri di cuore, arte per chi è senza anima. Sei parte del fantastico mondo della natura o sei l'invenzione di qualche uomo ambizioso? Provieni da una lunga stirpe di arti? Per questo motivo ogni artista è nato nello stesso modo e noi non ne abbiamo mai visto uno giovane. Diventare artista è rinascere oppure è una condizione della vita?". Con una buona dose di humor, "gli scultori umani" suggeriscono che l'arte non necessiti di mediazione, perché l'artista si riferisce ad una autorità più alta, nessun curatore o museo deve ostacolarlo. Se la moderna figura del critico d'arte è stata ben riconosciuta fin da Diderot e Baudelaire, la vera ragion d'essere rimane largamente indefinita. Nessuna effettiva metodologia o chiaro lascito è visibile rispetto alla odierna proliferazione di corsi in studi curatoriali. Il ruolo del curatore, come mostrato nelle seguenti interviste, appare già incorporato preesistenti professioni artistiche, come il direttore di un museo o centro artistico (Johannes Cladders, Jean Leering, o Franz Meyer), il mercante (Sieth Siegelaub, per esempio), o il critico d'arte (Lucy Lippard). "I confini sono fluidi," osserva Werner Hofmann, e prosegue notando che questo è particolarmente vero nel suo luogo di nascita a Vienna, dove "ti confronti con l'attività curatoriale di [Julius von] Schlosser e [Aloïs] Riegl." L'arte del tardo Ottocento e del Novecento è strettamente legata alla storia delle sue mostre. La prevalente realizzazione delle avanguardie degli anni Dieci e Venti può essere vista – da punto di vista attuale – come una serie di raccolte collettive ed esposizioni. Questi gruppi seguirono la strada tracciata dai loro predecessori, permettendo ad un numero sempre maggiore di artisti emergenti di agire come mediatori di se stessi. "Uno dimentica," osservò nel 1972 Ian Dunlop, "quanto fosse difficile esporre un nuovo lavoro un secolo fa. Le mostre ufficiali e semi-ufficiali realizzate annualmente nella maggior parte delle capitali dell'Ovest vennero governate da cliques auto-perpetuanti di artisti semplicemente troppo soddisfatti di beneficiare dello scoppio del collezionismo che seguì la rivoluzione industriale. In quasi tutti gli stati queste esposizioni non riuscirono ad incontrare i bisogni di una nuova generazione di artisti. Neppure le mostre annuali crearono i propri gruppi scissionisti, come accadde in America, per esempio, né gli artisti realizzarono le proprie contro-esposizioni, come gli Impressionisti fecero in Francia, il New English Art Club in Gran Bretagna, e gli artisti viennesi in Austria". Appena ci muoviamo attraverso il Ventesimo secolo, la storia delle mostre appare inseparabile dalle più significative collezioni della modernità. Gli artisti giocarono un ruolo importante nella creazione di queste collezioni. Wladyslaw Strzeminski, Katarzyna Kobro, e Henryk Stazewski iniziarono il Muzeum Sztuki, in Polonia, con la presentazione al pubblico nel 1931 di una delle prime collezioni sull'avanguardia, e come Walter Hopps ricorda, "Katherine Dreier fu un personaggio cruciale. Con Duchamp e Man Ray, aprì il primo museo moderno in America." Comunque, una progressiva professionalizzazione della posizione del curatore stava già diventando evidente. Molti direttori fondatori di musei di arte moderna, per esempio, ascritti tra i pionieri della curatela – da Alfred Barr, primo direttore nel 1929 del Museum of Modern Art di New York, a Hofmann che creò il Museum des 20. Jahrhunderts a Vienna nel 1962. Pochi anni dopo non sorprese che, con l'avvento di curatori come Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna e Kynaston McShine al Jewish Museum e al Museum of Modern Art di New York, la maggioranza delle mostre più importanti furono organizzate da professionisti dell'arte più che da artisti. Durante il corso del Ventesimo secolo, "le mostre sono diventate il medium attraverso cui la maggior parte dell'arte viene conosciuta. Non solo il numero e la grandezza delle mostre è drammaticamente aumentata negli ultimi anni, ma i musei e le gallerie d'arte come la Tate a Londra e il Whitney a New York ora espongono le loro collezioni permanenti al pari di una serie di mostre temporanee. Le mostre sono il luogo primario di scambio nella economia politica dell'arte, dove il significato è costruito, mantenuto, e talvolta decostruito. In parte spettacolo, in parte evento dal valore storico e sociale, in parte dispositivo strutturale, le mostre – soprattutto le mostre d'arte contemporanea – stabiliscono e amministrano il significato culturale dell'arte". Mentre la storia delle esposizioni ha cominciato, nell'ultimo decennio, ad essere esaminata maggiormente in profondità, ciò che rimane largamente inesplorato sono i legami che manifestazioni legate tra di loro hanno creato tra i curatori, le istituzioni, e gli artisti. Per questa ragione, le conversazioni di Obrist superano l'enfasi sui grandi successi di alcuni individui – per esempio la trilogia di mostre di Pontus Hultén Paris-New York, Paris-Berlin, e Paris-Moscow, quella di Leering De Straat: Vorm van samenleven (The Street: Ways of Living Together), e quella di Szeemann When Attitudes Become Form: Live in Your Head. Il materiale raccolto da Obrist ricostruisce "un patchwork di frammenti," sottolineando una rete di relazioni all'interno della comunità artistica nel cuore delle pratiche curatoriali emergenti. Possono essere tracciate influenze condivise tra i curatori. I nomi di Alexander Dorner, direttore del Provinciaal Museum di Hannover; Arnold Rüdlinger, a capo del Museo d'arte di Basilea; e Willem Sandberg, direttore dello Stedelijk Museum di Amsterdam, diventeranno familiari al lettore di queste interviste. E' il riferimento a curatori meno conosciuti – non ancora presenti nella coscienza collettiva della professione – che catturerà maggiormente l'attenzione degli storici. Cladders e Leering ricordano Paul Wember, direttore del Museum Haus Lange a Krefeld; Hopps punta a Jernayne Macagy, un "curatore pioniere dell'arte moderna" a San Francisco; e d'Harnoncourt richiama uno studente di Mies van der Rohe che divenne curatore dell'arte del XX secolo all'Art Institute di Chicago, A. James Speyer. Credo che ciò sia dovuto al fatto che le loro conquiste erano destinate ai loro tempi. Anche se furono determinanti, furono comunque dimenticati. Meyer osserva che se la storia fallisce nel ricordare i curatori, è "soprattutto perché le loro conquiste erano destinate ai loro tempi. Anche se furono determinanti, furono comunque dimenticati." In ogni caso, nei tardi anni Sessanta, "l'ascesa del curatore come creatore" come Bruce Altshuler lo chiamò, non solo cambiò la nostra percezione delle mostre, ma creò anche il bisogno di documentarle più compiutamente. Se il contesto di presentazione di un'opera ha sempre avuto importanza, la seconda parte del Ventesimo secolo ha mostrato che le opere d'arte sono sistematicamente associate alla loro prima mostra e che una mancanza di documentazione delle successive espone le intenzioni originali dell'artista al rischio di essere frainteso. E' uno delle molte ragioni per cui le seguenti 11 interviste rappresentano un contributo chiave al più ampio approccio necessario per lo studio dell'arte del nostro tempo. |
|
|
postmedia books |