Relations
Sanaa "due o tre cose che so di loro"

di Barbara Casavecchia


D La Repubblica n.691 – 24 aprile 2010

Premio Pritzker 2010: Kazujo Sejima e Ryue Nishizawa, in arte SANAA, sono ironici e imperscrutabili. Così abbiamo chiesto a Florian Idenburg, associato dello studio ma soprattutto loro "terzo braccio", di raccontarci com'è la coppia di architetti del momento.


Sono passati quasi vent'anni da quando il Pritzker Prize per l'architettura fu assegnato a Robert Venturi ma non alla moglie, Denise Scott Brown, che pure lavorava e teorizzava con lui da una vita, e nel '72 aveva cofirmato l'osannatissimo Learning from Las Vegas. Le cose possono cambiare. La star 2010 del Pritzker è la cinquantaquattrenne Kazujo Sejima - sua anche la prossima Biennale di Architettura di Venezia - premiata in tandem con il partner Ryue Nishizawa (classe 1966) per il lavoro "sobrio, ingannevolmente semplice, anti-retorico" del loro studio, SANAA, ovvero S(ejim)a, N(ishizaw)a e A(ssociati), fondato a Tokyo nel '95. Un evento festeggiato urbi et orbi come passo avanti sul versante delle pari opportunità intellettuali. Eppure Sejima, con understatement e pragmatismo inossidabili, ha dichiarato che per lei ricevere premi come donna non ha molto significato: l'importante è fare nuova architettura. Niente proclami, nessun manifesto. Elegante, ironica, capace di macinare mezzo pacchetto di senza filtro durante un'intervista, Sejima-san - come continua a chiamarla Nishizawa (entrato nella sua orbita prima di laurearsi, e che dal '97 lavora anche in proprio) - si trincera dietro la riservatezza. Per decifrarne la logica, meglio affidarsi a qualcuno che conosce bene SANAA, come l'olandese Florian Idenburg, che è stato a lungo il terzo braccio, oltreché associato dello studio. Colpa di una folgorante lezione al Berlage Institute di Amsterdam, nel '98, quando Sejiima replicò a un'interminabile discettazione di uno studente imbevuto del "metodo critico-paranoico di Koolhaas" con un gesto del dito, rivolto allo schizzo e alla pianta: "Questo mi piace... questo no". Così nel 2000 Idenburg si trasferisce a Tokyo come stagista di SANAA, in un magazzino nel quartiere di Higashi-Shinagawa, entra nello staff e fino al 2007 è il referente dei maggiori progetti europei e americani. A New York ha coordinato la realizzazione dell'architettura finora più "hit" del duo, il New Museum, da una base operativa ridottissima, "quasi una cellula terroristica, installata nei nostri appartamenti, un mix ibrido di laptop, fotocamere digitali, hard drive, cellulari, campioni di materiali e pile di disegni". Idenburg, che oggi ha un suo studio a Brooklyn, Solid Objectives, in coppia con la moglie Jing Liu (www.so-il.org), nel 2009 ha pubblicato Learning from Japan (ed. Lars Muller), un volume che documenta le lezioni di SANAA a Princeton. In Italia firma Relazioni, un saggio da 64 pagine in uscita a maggio per i tascabili di Postmedia Books, tanto stringato quanto rivelatore. Con cui smonta parecchi cliché. "Quello che ho sentito ripetere più spesso? Che Sejima e Nishizawa stanno insieme, e che la loro architettura è un condensato di nipponicità", dall'ikebana alla tensione monastica verso l'assoluto. Le loro non vogliono essere architetture eteree, giocate sui materiali sofisticati, ma capaci d'innestarsi nella realtà urbana contemporanea, di accoglierne gli abitanti, preferendo alle utopie collettive dell'agenda modernista delle "microtopie" concrete. "In Giappone, il lavoro di SANAA non viene considerato rarefatto e ordinato, ma casual, informale, e gli aggettivi che lo descrivono spesso sono giocoso, aperto". Legata all'eredità di Kiyonori Kikutake (maestro di Kenzo Tange e Toyo Ito, a sua volta maestro di Sejima) e alla lezione onnivora del Metabolismo giapponese, che nel 1960 teorizzava la nascita di un Nuovo Urbanesimo, flessibile e organico, tarato sulle trasformazioni in corso delle metropoli asiatiche e sull'impatto della società dell'informazione, la visione di SANAA resta a misura d'uomo. Secondo Idenburg, reagisce all'espansione di una società sempre più virtualizzata con strategie analoghe a quelle adottate dagli artisti dell'Estetica Relazionale (Tiravanija, Höller, Parreno, Huyghe) negli anni 90: riattivare gli incontri, mettere in gioco gli individui, proporre un'esperienza senza dettarne le regole. Con un obiettivo molto semplice, dice Sejima: "Offrire spazi reali per una comunicazione diretta tra le persone".

 

 

USO INSOLITO DEL VERDE E NUOVE RELAZIONI

In Relazioni (Postmedia, 2010) Idenburg scrive:

"A Sejima piace l'analogia del parco; vede il parco come un luogo in cui attività diverse si svolgono contemporaneamente. Sentieri, alberi e cespugli formano lievi separazioni tra i posti in cui si può stare. Si può girare liberamente tra le diverse zone e vedere le persone divertirsi nel posto che si sono scelte. Un parco funziona come ambiente solo grazie all'attività di chi si muove al suo interno. Progetti come il Toledo Museum of Art e il Rolex Learning Center di Losanna funzionano in questo modo. Spazi di circolazione ambigui, luoghi densi e indefiniti, ambiti di sovrapposizione e di interferenza. (...) Allo stesso modo, in progetti più piccoli, come ad esempio nella Moriyama House, con lo spazio inserito tra i volumi, o la Onishi Community Hall, dove la principale strada pedonale del paese è integrata nella pianta, il lavoro viene attivato dagli utenti. L'essenza di questi progetti consiste nel favorire (senza forzare) e nell'evidenziare i sistemi di relazione".


IL BIANCO come sistema

Architetture monocrome, a impatto percettivo ridotto o semplicemente articolate attorno a tutte le possibili sfumature del bianco, uno dei più cerimoniali colori nipponici e dei diktat più osservati del Less is More. Anche questo, secondo Florian Idenburg, è uno dei luoghi comuni da sfatare rispetto ai progetti di Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa: "Il biancore non ha nulla a che fare con il minimalismo. L'azzeramento di ogni interferenza, la riduzione degli spessori e di ogni possibile ingombro visivo sono il simbolo di un atteggiamento progettuale di apertura, di accoglienza: lo spazio che viene creato deve funzionare il più possibile come una tela bianca, che la gente dovrà colmare con le proprie scelte e azioni. O come una pagina bianca, fiduciosa nella capacità degli individui di inventare le proprie storie".


A CHE SERVE UN LABIRINTO

Recensendo il Glass Pavillion del Museum of Art di Toledo (Ohio) di SANAA, il critico di architettura del New York Times Nicolai Ouroussof, l'aveva definito un labirinto diafano, che insegna a registrare le distanze tra le persone. Idenburg scrive: "Si parla della natura porosa delle facciate di SANAA, ma in realtà questi elementi non consentono al gioco di espandersi all'esterno. Sono trasparenti per sedurre le persone e spingerle a entrare. Guardare un edificio di SANAA è come guardare una piscina in una calda giornata d'estate".
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