design & crime

 

 

 

 

 

 

 

 


Cultura e marketing

Forse _ questa la merce realmente in vendita nei centri commerciali: la favola che non ci sono pi_ divisioni di classe. Questa favola serve da complemento contemporaneo al mito della nascita degli Stati Uniti, secondo cui le divisioni non sono mai esistite. In questo mondo senza profilo ci sono altre soluzioni magiche a disposizione. Per esempio, Seabrook conosce la favola dell’unit_ razziale che si vende nei centri commerciali (ad esempio: “Il gangsta rap _ diventato semplicemente un blues pi_ vero per palati stufi come il mio che hanno bisogno di freschezza o di realt_ sociale in forma pop”). Ma non _ altrettanto chiaro rispetto alle altre soluzioni magiche in offerta. In un capitolo dedicato alla visita alla fattoria di famiglia nel sud del New Jersey, Seabrook intraprende con il padre una battaglia sugli abiti: la sua maglietta dei Chemical Brothers con tanto di scritta DANACHT (termine hip hop per “nuova merda”) contro gli abiti Savile Row del padre. “Mio padre usava i suoi vestiti per comunicare con me attraverso la cultura. Io, a mia volta, usavo i miei vestiti per difendermi dai suoi tentativi”. Ma, in effetti, Seabrook evita il conflitto vestendosi con abiti che non corrispondono ad un’unica generazione: una sera a cena indossa un abito del padre per la gioia reciproca di genitori e figlio. Sembra che, culturalmente, si possa allentare anche la tensione edipica indossando gli abiti giusti, con lo stile giusto. Eppure Seabrook manca il punto: queste tensioni sono allegerite perch_ indossa abiti eleganti, acquieta suo padre perch_ conserva lo stile di classe, o pretende di farlo; ma in fondo, c’_ poi tanta differenza?


Design e crimine

Il design _ inflazionato al punto che l’involucro rimpiazza del tutto il prodotto. Che l’oggetto del design sia la giovane arte inglese o un candidato alle elezioni presidenziali, “la propria marca”, la trasformazione in logo di un nome-prodotto per un pubblico in deficit di attenzione, _ fondamentale per molte sfere della societ_, compreso il design. Dal momento che il prodotto non _ solo un oggetto, l’attenzione del consumatore e la ritenzione dell’immagine sono sempre pi_ importanti. Questo _ diventato evidente con le massicce fusioni aziendali degli anni di Reagan e della Thatcher, quando sono apparse le nuove mega ditte a promuovere ben poco se non i rispettivi logo. In particolare, quando l’economia _ sprofondata sotto George I, questa trasformazione del nome in marca _ diventato un modo per puntellare azioni di valore a prescindere dalle realt_ produttive e di profitto. Pi_ recentemente, Internet ha disposto una nuova ricompensa sul riconoscimento del nome aziendale. Per le compagnie nate in Rete la definizione di un nome-marca _ necessaria alla sopravvivenza; parte della recente purga di queste compagnie virtuali risale ad una sorta di darwinismo del nome-web.



Maestro costruttore

Sono in molti a considerare Frank Gehry maestro architetto e maestro artista. Progetti e premi, libri e mostre, spesso _ chiamato genio senza alcun imbarazzo. Ma questo designer di musei metallici e sale da concerto curve, case di lusso e appariscenti sedi aziendali _ davvero il nostro pi_ grande artista vivente?
La questione _ importamente, perch_ chiama in causa la nuova centralit_ dell’architettura nel discorso culturale. Questa centralit_ risale alle fasi iniziali del dibattito sul postmoderno negli anni Settanta che si concentra, appunto, sull’architettura; ma viene rivisto dall’inflazione contemporanea del design e dell’esposizione in ogni campo, arte, moda, business e cos_ via.



Architettura e impero

Rem Koolhaas oggi cavalca questa dialettica meglio di chiunque altro, ma questa capacit_ lo ha portato a fare alcune mosse ambigue. Lo ha portato a criticare l’apoteosi contemporanea dello shopping, ma anche a lavorare come architetto aziendale per Prada (che ha pubblicato i suoi progetti per tre nuovi “epicentri” a New York, Los Angeles e San Francisco in un altro mega libro). Lo ha portato ad aprire un complemento innovativo di OMA chiamato AMO per intervenire nel design, ma anche per fare da consulente per il programma di rinnovamento dell’impero editoriale Cond_ Nast21. Lo ha portato ad opporsi all’architettura-spettacolo proposta da istituzioni quali il Guggenheim Museum, ma anche a disegnare una galleria per lo stesso Guggenheim a Las Vegas (per quanto non spettacolare).


Archivi d’arte moderna

Gli archivi a cui faccio riferimento nel titolo non sono le stanze polverose piene di documenti accademici. Intendo questo termine nel senso in cui lo usava Michel Foucault, cio_ “il sistema che governa la manifestazione delle affermazioni”, che struttura le espressioni di un particolare periodo1. In questo senso un archivio non _ mai affermativo n_ critico di per s_, semplicemente deve fornire i termini del discorso. Ma questo “semplicemente” non _ un piccolo dettaglio, perch_, se un archivio struttura i termini del discorso, limita anche ci_ che pu_ o non pu_ essere articolato in un dato tempo e in un dato luogo. Vorrei rivedere alcuni cambiamenti significativi nelle principali relazioni sull’archiviazione in uso tra la pratica dell’arte moderna, i musei e la storia dell’arte nel mondo occidentale tra il 1850 e il 1950. Entrando nello specifico, vorrei considerare la “conformazione della memoria” che questi tre ambiti hanno coprodotto nell’arco temporale indicato e descrivere una “dialettica del vedere” all’interno di questa conformazione della memoria.



Antinomie nella storia dell’arte

Finora ho parlato degli studi visivi in relazione alla storia dell’arte, ma la maggior parte di questo lavoro riguarda la cultura visiva pi_ recente. In questo senso gli “studi visivi” rappresentano un allargamento dei compiti della critica che prende molto dalla teoria cinematografica e dall’analisi dei media. In effetti si tratta del dipartimento visivo degli studi culturali, lo studio sulle forme di espressione popolare e sottoculturale, e i principali soggetti d’indagine vanno dai film, alla televisione, Internet e la rappresentazione visiva in medicina, nel campo militare, nelle scienze e nell’industria. La cultura visiva, dunque, rappresenta un mondo contemporaneo pi_ spettacolare, intriso di merci e di tecnologie visive, informazione e intrattenimento18. Come descrizione sociale appare abbastanza chiara: l’immagine domina la nostra societ_ come mai prima d’ora. Come soggetto accademico, invece, “la cultura visiva” _ meno chiara, forse tanto ossimorica quanto la “storia dell’arte”.



Critici d’arte in extremis

Il critico d’arte _ una specie in via di estinzione. Leggendo le riviste americane ed europee si trovano scrittori che fanno i critici come seconda attivit_, artisti che fanno i critici, o filosofi in libert_, ma nessuno che si definisca semplicemente “critico d’arte”. Ancora pi_ strano _ che i critici d’arte sono pochi anche nelle maggiori riviste d’arte come “Artforum”. Cosa _ successo a questa figura che solo una o due generazioni fa avanzava a grandi passi nello scenario culturale con la forza di un Clement Greenberg o di un Harold Rosenberg?



Questo funerale _ per il cadavere sbagliato

Ma da qualche tempo l’arte non ha pi_ questo peso simbolico: oggi sembra disinvestita non solo del suo ruolo di guida nella storia, ma anche di ci_ che riguarda la storicit_, vale a dire, di ogni necessaria risoluzione di problemi storici. Si potrebbe procedere oltre. L’arte contemporanea non sembra pi_ “contemporanea”, nel senso che non possiede pi_ uno sguardo privilegiato sul presente, neanche “sintomatico”, o almeno, non pi_ di tanti altri fenomeni culturali. Se il primo principio della storia dell’arte, come scriveva Heinrich W_lfflin, _ che “non tutte le cose sono possibili in tutte le epoche”, questa premessa oggi _ posta in discussione, nel bene e nel male, con il risultato che per alcuni commentatori la storia dell’arte _ “kaput” quanto l’arte.












  postmedia books Hal Foster | Design & Crime