ø Anatomia di alcuni sortilegi
Michel Onfray

Philippe Starck dispone di un vocabolario, di una grammatica e di uno stile – per quanto il termine mi ripugni – suscettibile di definire un carattere e un temperamento. Vedo in lui tracce di un alfabeto sciamanico che permette agli oggetti non di avere un’anima, ma di parlare un linguaggio che informa sulla vita intima delle cose, di intendere cose inaudite. Là dove lo sciamano comunica con l’orso bianco e i papaveri artici, l’artista boemo scambia chiacchiere con tavoli e case, bollitori e accendini, parla con sedie e lavabo, poi conversa seriamente con le maniglie delle porte. Propongo dodici vie di accesso per tentare di forzare un po’ i misteri di questa patetica dell’evento strambo.


ø Il grandesigner. Breve compendio di filosofia starckiana
Benoît Heilbrunn

Starck si difende in effetti da una visione puramente decorativa: “Sono favorevole”, dice, “all'economia, nel senso psicanalitico del termine. L'economia di tutto. Un prodotto che raggiunge i suoi fini con il minimo di mezzi. Mi piace attingere le cose alla loro radice, al momento in cui nessuna divisione è più possibile. Più semplice è l'oggetto, più è difficile da realizzare: la decorazione nasconde sempre qualcos'altro”.
(...) Quando il modo di valorizzazione scelto è essenzialmente ludico o esistenziale, il lavoro del designer permette di accrescere, in modo conseguente, il valore manifesto dell'oggetto, cioè il suo prezzo. Incontestabilmente, l'obbiettivo assegnato a questo tipo di design è la creazione di un plusvalore economico. Ora, in una cultura del consumo in cui i consumatori sono sempre più istruiti sui processi di marketing, è difficile esprimere questo obbiettivo.


ø Leggere e s-leggere l’oggetto
Valérie Guillaume

Ma se leggere il design di Philippe Starck costringe ad affrontare una complessità simile, in che modo procedere? Sappiamo per esperienza che smontare un oggetto permette di apprendere come funziona. Tale sarà il nostro intendimento. Come lavora Philippe Starck? Il vantaggio di questo esame consiste nel fatto che non altera in niente il fascino ambiguo dell'oggetto. Familiarizzarsi con la concezione e l'elaborazione dell'oggetto conferisce inoltre una sensibilità maggiore a dei poteri che il segno distintivo della stranezza segnala più frequentemente.


ø L’architettura secondo Philippe Starck
Sophie Trelcat


Cresce così la grande famiglia Starck, in cui tutti i rami si collegano l'uno l'altro, citandosi tra loro, come nel caso della Rue Starck, e dove è talvolta difficile disegnare una genealogia delle influenze. Bruciando le piste che non conducono a lui, Starck mantiene un'ambiguità verso il passato come verso eventuali riferimenti architettonici. Sembra delicato approfondire questa questione in questo creatore fuori dalle categorie, il cui percorso non ha incrociato nessuna scuola di architettura. Si sarà tentati tuttavia di menzionare l'espressionismo di Frank O. Gehry, innovatore della plasticità architettonica, e forse anche Aldo Rossi, che condivide con Starck un vocabolario teatrale in cui traspare l'ossessione della morte e del tempo.
(Sophie Trelcat)



ø Starck e la Francia. Starck fa scuola?
Christine Colin


A priori tutto in Starck sembra allontanare da un luogo che incarni l’idea di permanenza, come il paese che modella e identifica il gruppo di persone che vi “abita” e le cose che vi si producono. Sotto molti aspetti Starck è il “passeggero” tipico dei “nonluoghi” descritti da Marc Augé: “I nonluoghi sono sia le installazioni necessarie alla circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostrade, svincoli, aeroporti) sia gli stessi mezzi di trasporto, o i grandi centri commerciali, o ancora i campi di transito prolungato dove sono parcheggiati i rifugiati del pianeta”.


ø Il periodo italiano di Philippe Starck
Vanni Pasca

Chi scrive ha incontrato Philippe Starck nel 1984, insieme all' industriale italiano Enrico Baleri, all'aeroporto di Milano. Indossava una giacca di Issey Miyake e un jeans segnato da tagli (look non ancora molto diffuso in Italia). Aprì la sua valigetta di metallo sul tavolo di un pub, mostrando alcuni book con tutto ciò che era sta pubblicato su di lui da riviste e giornali nel mondo; nella cavità del coperchio, poi, trattenuti da nastri elastici, c'erano fogli di carta lucida, matite, squadre. In definitiva, si presentava con un look trendy e insieme con una dichiarazione di immediata disponibilità, atteggiamenti entrambi ben diversi da quelli tipici del designer-architetto milanese in quell'epoca. Più che un progettista-intellettuale, come il designer italiano erede della tradizione bauhausiana, appariva un professionista con ambizioni di protagonismo. Già allora amava definirsi un autodidatta, ostentando una irridente avversione per gli intellettuali, e in particolare per la loro tendenza a parlare del design in termini “culturali”. In tutto questo traspariva un modo nuovo di intendere sia il design sia la figura del designer.


ø Il viaggiatore del tempo.
L’opera e il percorso di Philippe Starck alla prova del patrimonio del design
Stéphane Laurent


La longevità di Starck ha senza dubbio a che fare con l’equilibrio tra magia e classicismo. Dice di rifiutare le tendenze per meglio far durare l’oggetto, che finisce tuttavia con l’essere riacciuffato dalla moda. Se si raggomitola nella sua bolla di creativo, questa bolla non resta meno porosa ai dettagli e a campi impercettibili che attirano la sua attenzione. Starck lavora alla maniera dell’“alta moda”, per mezzo di un effettivo di collaboratori sicuro e ridotto, nello spirito di un atelier all’antica. Come un Dürer o un Gallé, che uniscono la doppia competenza di imprenditori e artisti, commercia e opera contemporaneamente. Se è classico nella ricerca dell’essenza e della purezza, due virtù dell’arte antica, i suoi oggetti sono invece trattati come figure arcaiche. È un’eredità degli anni 1980? Ci guadagnano in ogni caso un’universalità magica, caratteristica di quel periodo.


ø Starck in America.French Kissing in the U.S.A.
Christopher Mount

Starck ha raggiunto questo obiettivo in parte grazie alla forza della sua personalità, ma in modo più significativo grazie al suo lavoro, in particolare i suoi prodotti piccoli ed economici come lo spazzolino Dr. Cheese, l'onnipresente spremiagrumi Juicy Salif e i suoi eleganti hotel arredati per conto del costruttore Ian Shrager. La sua popolarità ha coinciso con un periodo in cui l'economiia americana si è dimostrata relativamente forte e il pubblico era affamato di novità. La maggior parte di consumatori americani degli oggetti di Starck sono cresciuti guardando molto la televisione e sembrano condividere uno spiccato gusto visivo, che le generazioni precedenti ignoravano. Starck si rivolge all'attuale spirito americano "il obiettivo in questa democratizzazione del design è realizare le cose e le esperienze più eccitanti e gioiose per il maggior numero di persone. Oggi non abbiamo bisogno di altro design, altre ambizioni/aspiarazioni, ma di più felicità e magia alla portata di tutti".