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La prefazione di Bernard Tschumi

Alla fine del XX secolo la scena internazionale dell’architettura è sottoposta a un cambiamento importante. Una nuova cultura, riflesso dell’età contemporanea, delle sue reti di informazione e delle immagini dei mass media, emerge in contrapposizione alle morfologie contestualiste e storiciste prevalse negli anni Ottanta. Nel contesto di questa cultura in ascesa, una scuola di architettura si è cimentata in un esperimento particolare. La domanda che ci siamo posti nei programmi di architettura della Graduate School of Architecture, Planning and Preservation della Columbia University è stata: “Può una scuola, che per definizione è un’istituzione in cui viene trasmesso il sapere, diventare un luogo finalizzato a generare nuove forme del pensiero architettonico? Invece di essere influenzata dal mondo della pratica professionale, nello stesso modo in cui le accademie di architettura hanno tradizionalmente seguito gli insegnamenti dei maestri, dalle Beaux Arts a Le Corbusier e ad altri, può una scuola indicare direttamente la via alla cultura del suo tempo, influenzando la stessa pratica professionale?”.
Come scuola, eravamo affascinati dai precedenti dei trattati Beux Arts di primo Ottocento sulla teoria architettonica, della rigorosa pedagogia novecentesca del Bauhaus, e, in maniera differente ma ugualmente pregnante, dagli esempi della Cooper Union di John Hejduk e dell’Architectural Association di Alvin Boyarsky. Nondimeno, avevamo la sensazione che fosse giunta l’ora di prendere in considerazione un nuovo modello. Dopotutto, stavamo entrando nel XXI secolo; eravamo parte di una città mondiale, New York; ed eravamo all’alba dell’era di Internet, inestricabilmente connessi con la tecnologia e la cultura globali.
Abbiamo posto anche un’altra domanda: “Come può la Scuola generare una cultura architettonica che non sia riduttiva, che non rappresenti l’approccio stilistico o intellettuale di un singolo gruppo d’interesse o di una singola prospettiva ma, al contrario, rifletta, arricchendosene, le differenze di opinione e i punti di vista conflittuali? Come può l’università – uno degli ultimi rifugi della libertà di pensiero ed espressione, con relativa autonomia dai vincoli del mercato e dai clichés dei media – essere utilizzata come luogo per sviluppare un discorso serio sulla definizione dell’architettura?”. Il nostro modello è diventato la città, la grande città, dove la molteplicità e le differenze promuovono la complessità e l’invenzione.
L’architettura e la costruzione delle città includono programmi, pratiche sociali, configurazioni spaziali, tecniche costruttive e priorità politiche provocanti nella loro novità. Possono questi propositi, abbiamo chiesto, ispirare allo stesso modo l’organizzazione della Scuola come epicentro creativo? Abbiamo deciso di provare. Abbiamo invitato giovani architetti, la cui esperienza pratica relativamente limitata era controbilanciata da grande talento ed energia. Abbiamo chiesto loro di insegnare cosa sapevano o cosa avrebbero voluto sapere. Incoraggiando il corpo docente a sviluppare i propri interessi con l’aiuto degli studenti, la Scuola è diventata subito un laboratorio di idee, concetti e costruzioni materiali. A ogni docente titolare di un corso, sono stati dati sufficienti mezzi e autorità per perseguire le proprie ambizioni, in maniera da generare un ambiente multiculturale ricco di idee, discussioni e polemiche tra loro in competizione. Il processo è stato accelerato dall’integrazione senza precedenti di nuovi strumenti informatici nei laboratori di progettazione, dove la tecnologia digitale è stata teorizzata come modo di pensare all’architettura piuttosto che come semplice macchina da disegno. Abbiamo inoltre invitato importanti teorici della nuova generazione per fornire un’intelaiatura critica a queste esplorazioni architettoniche e progettuali. Infine, la produzione della Scuola è stata largamente diffusa, in particolare tramite Abstract, una pubblicazione annuale del lavoro progettuale.
La Scuola ha incoraggiato un modo di insegnare che ispirasse la collaborazione tra studenti e corpo docente sui terreni d’avanguardia dell’architettura. Per molti membri del corpo docente, l’insegnamento, la ricerca e la pratica professionale si sono combinati in un processo integrato che ha permesso loro di sviluppare anche il proprio lavoro in maniera creativa. Ispirati da tecnologie avanzate, i corsi sono diventati un terreno fertile di idee. Sono anche diventati luogo di dibattito polemico, in cui venivano sfidate le definizioni convenzionali dell’architettura. Fatto importante, la Scuola ha anche cercato di comprendere la crescente dimensione dell’esperienza urbana, sempre più collocata al confine tra reale e virtuale, materiale e immateriale, da quando il digitale ha assunto un maggiore ruolo nella vita della città contemporanea.
Invece di cercare di tradurre in forma di cronologia, o di trattato sulla formazione, il contributo dato dalla Scuola a questa cultura in ascesa, abbiamo deciso di documentare sotto forma di indice queste conversazioni, tematiche e polemiche. Come un indice, questo libro non riassume o rappresenta esaustivamente, ma piuttosto punta o “indica” una fertilizzazione incrociata delle idee tra teoria e pratica, tra formazione e mondo del fare.
Come è stato assemblato INDEX? Abbiamo iniziato a leggere i programmi universitari dai corsi dai primi anni Novanta ad oggi. In seguito, questi programmi sono stati analizzati e ridotti alle loro idee fondamentali. Matthew Berman, allora studente, ha iniziato una serie di interviste con membri selezionati del corpo docente e vari responsabili dei laboratori. Il risultato è stato un documento che comprendeva l’insegnamento e la pratica professionale di ogni responsabile. Termini o frasi ricorrenti sono diventate parole chiave attorno alle quali sono stati organizzati gli scritti, le interviste e le immagini selezionate dai responsabili, in quanto rappresentative di come erano organizzati i loro laboratori. Non abbiamo cercato una coerenza ideologica, piuttosto, riflettendo la ricchezza della diversità metropolitana, emergono diverse opinioni e molteplici punti di vista che caratterizzano la vitalità della Scuola. I rimandi incrociati dei termini incoraggiano la lettura multivalente dei concetti discussi. La nostra speranza è che, così come è concepito, INDEX si rivolga alle dinamiche del dibattito architettonico contemporaneo.

Bernard Tschumi





























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