Rossella Caruso / (h)ortus / 09-2007
La particolare realtà museale rappresentata, a Parigi, dal Palais de Tokyo, inaugurato nel gennaio del 2002, è il soggetto di questo agevole testo di Paola Nicolin, giovane ricercatrice milanese, che ha appena concluso il dottorato di ricerca a Venezia, in Storia dell’Architettura e Scienza dell’Arte (tesi: T68. Il MONDO in una MOSTRA. Il Grande Numero alla XIV Triennale di Milano. Arte Architettura Ambiente), e ha all’attivo specializzazioni presso MIT e Harvard.
L’autrice ne ricostruisce la storia - risalente alla fine degli anni Trenta - per giungere ad analizzare criticamente l’interessante esperienza curatoriale di Nicolas Bourriaud (paragrafo su L’estetica relazionale) e Jérôme Sans (intervistato dalla Nicolin; entrambi con contratto scaduto all’inizio del 2006); il lungo e soft cantiere architettonico (tra il 1999 e il 2001; architetti Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal), che ne ha ridefinito gli spazi; e la specificità di opere d’arte ivi prodotte ed esposte, da Liam Gillick a Thomas Hirschhorn.
A riguardo le questioni trattate sono più d’una, visto anche il carattere fortemente innovativo e sperimentale del museo, assimilabile piuttosto a un museo-laboratorio, o addirittura a un anti-museo, che rifletterebbe «una strategia museale diretta alla trasformazione anziché alla stabilità, che cerca l’effimero (come le mostre temporanee) a scapito della continuità, rifiuta l’opera compiuta per aprirsi verso molteplici aspetti della realtà, in un incessante divenire che porta l’arte a confondersi con l’esperienza vissuta (Maria Teresa Fiorio)».
Il Palais de Tokyo - «modello di una forma di creatività interdisciplinare» - diventa allora luogo paradigmatico per interrogarsi ancora sui rapporti opera d’arte/contesto, spazio/produzione-esposizione dell’opera, senza per questo mancare di riesaminare le vicende che ne determinarono la nascita e, attraverso lo spoglio della rivista “Mouseion” (dal 1927 prima pubblicazione periodica di museografia), le posizioni critiche, spesso conflittuali, all’epoca sostenute da personaggi come Henri Focillon, André Malraux, George-Henri Rivière e Louis Hautecoeur.
Come scrive l’autrice, infatti, «lo strano caso del Palais de Tokyo come unicum di arte e architettura, di arte e vita, di rappresentazione delle pratiche quotidiane e traduzione della galleria come scatola degli attrezzi, declina in un’altra scala il problema del museo come struttura di pensiero dove lo stile dell’arte è lo stile della vita, dove la perdita di scala di valori non è data dalla decontestualizzazione spazio-temporale, ma dal comportamento intersoggettivo, che s’instaura tra contesto, opera e spettatore».
Ci si può domandare se questa esperienza parigina possa effettivamente rappresentare un’ipotesi da perseguire; se sono comunque da preferire spazi museali architettonicamente poco ingerenti; se nella contemporaneità è opportuno superare l’idea del museo come contenitore di collezioni permanenti; se l’istituzione-museo debba in primis produrre e sostenere la creatività contemporanea. Tutte questioni ovviamente aperte, che non possono preludere a soluzioni assertive e ultimative. Mentre è auspicabile che esperienze già praticate e analizzate criticamente, come questa del Sito di creazione contemporanea di Parigi, forniscano necessari elementi di riflessione, e non solo per gli architetti e i curatori.



Michela Montenero / Esempi d'Architettura / 04-2007
UN CONTENITORE COLLETTIVO PER LA CREAZIONE CONTEMPORANEA
Nato negli anni trenta in occasione dell’ultima Esposizione Universale di Parigi, a seguito di un concorso per la realizzazione di due edifici gemelli destinati ad ospitare le collezioni statali
e comunali di arte contemporanea, il Palais de Tokyo è stato caratterizzato da una storia di trasformazioni e cambiamenti di funzione continui.
Solo all’inizio del nuovo millennio attraverso l’allestimento al suo interno di un polivalente museo di arte contemporanea dedicato alla esibizione di collezioni temporanee questo luogo vastissimo e ricco di potenzialità ha trovato un suo coerente ed innovativo utilizzo.
Paola Nicolin per descrivere in questo libro le vicende del Palais de Tokyo intreccia una sorta di biografia dell’edificio sviluppandolo e raccontandolo attraverso la narrazione della sua storia ma soprattutto tramite il resoconto della gestazione e della rassegna di alcuni eventi ed esposizione susseguitesi dopo l’inaugurazione del museo nel 2002. L’edificio è infatti, grazie alla sua vasta e polivalente architettura, un grande contenitore di happening e mostre che rappresentano la sua stessa anima. Nella nuova concezione del Palais la partecipazione attiva dei visitatori diventa fondamento della fruizione e del funzionamento dello spazio, in questo l’aspetto più interessante del luogo: un ambito pubblico creato dalla sua stessa utenza, i visitatori, che lo vivono secondo le loro aspettative e volontà, senza essere incanalati in programmi museali o in itinerari conoscitivi.
L’autrice sottolinea questo aspetto raccontandoci le sue esperienze personali all’interno del museo quasi non si possa capire questa architettura senza averla vissuta.
Come luogo idoneo a nuove esperienze estranee alla tradizione museale, la Nicolin non si limita a parlarci dell’architettura del museo ma descrive tutte le altre espressioni concrete e virtuali della nuova istituzione in particolare il suo sito internet che diventa archivio del museo nonché suo spazio alternativo per continuare a raccontarsi.
La nuova vita del Palais de Tokyo è ancora troppo breve per poterne trarre le somme ma sicuramente il testo riesce a guidarci attraverso i successi e le contraddizioni di questa nuova e intelligente sperimentazione.



Laura Barreca / Arte e Critica / 01-01-2007
Lo strano caso del Palais de Tokyo. Si potrebbe ironicamente definire così l’esperimento del museo francese aperto a Parigi nel 2002, a cui Paola Nicolin dedica la pubblicazione recentemente edita da Postmedia Books. L’autrice affronta il dibattito assai complesso sul rapporto tra contenitore e contenuto, tra spazio espositivo e spettatore, descrivendo il museo parigino come sito autonomo di produzione artistica. Attraverso l’esempio delle mostre realizzate negli anni della direzione curatoriale di Nicolas Bourriaud e Jérôme Sans si comprende il senso di una nuova strategia museale che vede l’artista, il curatore, il pubblico, lo spazio museale uniti o “relazionati” nel luogo stesso della rappresentazione. Come sistema strutturato di pensiero, il Palais de Tokyo ha aperto una nuova dimensione collettiva attraverso la messa in opera di ciò che l’autrice definisce “macchina visuale”, ovvero la condizione in cui si realizza la coincidenza del museo e della mostra. Alcuni significativi riferimenti storici da Henri Focillon, al museo immaginario di André Malraux, dai cui scritti emerge il tema del “museo come soggetto che informa di sé il senso della collezione e dello spazio”, costituiscono gli esempi principali dell’interessante ricostruzione storico-critica proposta dall’autrice. Dunque un testo che si spinge ben al di là dell’argomento trattato poiché, come afferma Paola Nicolin, “il Palais de Tokyo è un progetto che non  troverà mai la sua forma conclusa, perchè ha fatto sua la transizione, che non è di per sè un valore o una virtù, ma una  condizione, quella stessa che ci insegnano i filosofi del nostro tempo”.

Barbara Casavecchia / D.Web (Repubblica)/ 05-2006
Cultura in progress
Sei città, sei artisti, sei luoghi che cambiano pelle per aprirsi alla ricerca contemporanea. O meglio sei cantieri, visto che, quasi ovunque, i lavori sono ancora in corso.
Work in progress, lavori in corso: ottimisticamente, si potrebbe riassumere così, rubando la definizione di un'opera d'arte che cresce col tempo, la situazione italiana degli spazi espositivi contemporanei. Negli ultimi anni, sulla mappa si sono infittite le bandierine: gallerie civiche, fondazioni private, associazioni, spuntate a Bergamo, Monfalcone, Pescara, Nuoro, Siracusa, come se occuparsi delle arti del XXI secolo fosse una prerogativa locale o individuale. L'unico cantiere di rilevanza (inter)nazionale, quello del MAXXI a Roma, si è arenato sui tagli dell'ultima finanziaria. "Credo che il vero motore dell'arte contemporanea sia ancora costituito da risorse umane, più che da strutture", afferma l'artista Diego Perrone. Con poche eccezioni (come la Fondazione Sandretto di Torino, progettata da Silvestrin), per creare spazio si ricicla quello che c'è: edifici postindustriali, oppure storici (come gli ultimi due arrivi del '05 a Napoli: il Museo Madre, regionale, creato da Siza in Palazzo Donnaregina, e il PAN, comunale, in Palazzo Roccella). Per l'artista Patrick Tuttofuoco, "rivalutare ciò che di buono c'era in passato è frutto dell'intelligenza, ma spesso, ahimé, ha più a che fare con la totale assenza d'immaginazione. Bisognerebbe osare un po' di più, ricominciare a fare ricerca. In questo momento di stagnazione, essere propositivi vuol anche dire essere rivoluzionari!". Basta scardinare le solite logiche: a Firenze dal 2005 c'è Quarter, un centro d'arte contemporanea nato dal recupero dell'ex area Longinotti, che vive gomito a gomito con l'ipermercato Coop, mentre il milanese Hangar Bicocca dimostra quanto l'indotto culturale possa dare identità ad aree d'espansione residenziale. La ricetta vincente è considerare il museo una piattaforma sperimentale, un "sito di creazione contemporanea", secondo la dicitura dell'esperimento più riuscito dell'ultimo periodo, il parigino Palais de Tokyo (vedi il bel saggio di Paola Nicolin, in uscita per Postmedia Books). Da noi ci prova il bolognese MAMbo: in attesa di traslocare alla Manifattura delle Arti, nel 2007, s'interroga sulla propria funzione e dà carta bianca agli artisti: hanno iniziato i belgi Building Transmission, svuotandone l'ingresso, abolendo banconi, arredi, segnaletica in omaggio al Museo senza pareti di Malraux.


  Angela Vettese / Il Sole24Ore / 06-08-2006
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Marketpress / 18-05-2006
In Italia, nonostante le mode recenti, manca una vera attenzione per la cultura contemporanea. Ecco l’esempio di un museo che è diventato un luogo d’incontro. Arte e architettura si intrecciano nella storia del Palais de Tokyo di Parigi raccontata da Paola Nicolin. Si tratta di uno degli esperimenti museali di arte contemporanea che appare come uno dei più riusciti sulla scena museale internazionale. In un paese come l’Italia, in cui solo negli ultimi anni si discute e si costruiscono luoghi pubblici per l’arte questo libro racconta un grande esempio di successo dell’istituzione parigina. Con una superficie di 8. 700 metri quadri, 5000 dei quali aperti al pubblico, il Palais è un considerevole spazio pubblico devoto alla creatività e creazione più che all’esposizione di cultura contemporanea, costruito sul modello dei centri per l’arte contemporanea internazionali, come il Ps1 a New York o il Witte de With a Rotterdam. Lontano dall’essere un’operazione di riqualificazione d’aree periferiche, il Palais sorge in uno dei quartieri più centrali di Parigi, sulla collina di Chaillot: un’area urbana priva di peculiari preesistenze architettoniche, luogo nel tempo di ideazione e sperimentazione di originali strategie museali. Dalla fine degli anni Trenta fino ad oggi a Chaillot ha preso forma una complessa rete di musei e spazi espositivi. La condizione del Palais de Tokyo sembra essere l’ideologica assenza di parametri di resistenza tra arte e vita, se non quello della consapevolezza di non averne. Qui tutti i soggetti (artista, pubblico, curatore etc. ) sono invitati a creare, esporre e criticare “situazioni costruite”, cui si riconosce lo statuto di arte. Nella serie di articoli raccolti nel 1998 nel libro Esthétique relationnelle, Nicolas Bourriaud definisce i caratteri di questa genealogia dell’arte contemporanea attraverso l’analisi di una serie di artisti che della relazione, intesa come metafora di uno stato della società come stato di incontri imposti alle persone, hanno fatto il contenuto dell’opera.



  Isola Art Center / 10-10-2006
Isola Art Center e Forum Isola invitano alla presentazione del libro
Palais de Tokyo, sito di creazione contemporanea
di Paola Nicolin
Relatori: Paola Nicolin, Bert Theis, Katia Anguelova, Alessandra Poggianti, Marco Scotini
L’esempio del Palais di Tokyo, inaugurato nel 2002 nell’ala sinistra di un edificio del 1937, si inserisce in un contesto sperimentale per l’arte contemporanea di Parigi. L’analisi di questo contesto e la lettura di alcune opere d’arte, prodotte ed esposte nel primo triennio di attività del nuovo “sito di creazione contemporanea”, sono il soggetto del libro di Paola Nicolin, che tuttavia non vuole essere una storia sistematica del Palais, ma uno strumento di lettura di una scelta parziale di eventi accaduti all’interno del cantiere parigino. Attraverso l’analisi del progetto curatoriale e la lettura del lungo cantiere architettonico, si traccia un racconto del centro come caso piuttosto esemplare di commistione tra “arte e vita”.



  si ringaziano anche:
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PresS/Tletter n.30 2006