Politica della fotografia

Dove siamo?

introduzione di John Berger






Il titolo di questo brillante libro di David Levi Strauss è Politica della Fotografia. Eppure, una volta letti i saggi che lo compongono, è chiaro che riguardano anche qualcos'altro: il dolore, il dolore del mondo. Spesso il modo in cui sono scritti, il loro stile, è come il respiro di qualcuno che soffre. Ma, al tempo stesso, non c'è traccia di auto-commiserazione e non c'è niente di mieloso in questo libro impressionante e inquietante.
Oltre ad essere riconosciuto come commentatore della fotografia (rifiuto l’appellativo critico), Strauss é un poeta e un narratore che sa guardare alle immagini in maniera molto forte. Le studia per un po' prima di dare spazio alle parole. Come diceva Paul Valéry, che lo stesso Strauss cita altrove: "Gli occhi sono organi che servono a chiedere".
La prime risposte a queste domande sono visive e non verbali, precise per quanto inesplicabili, familiari eppure strane. Le apparenze contengono più messaggi di quanti noi stessi gli lasciamo trasmettere, tranne quando siamo innamorati, forse.
Strauss guarda davvero alle immagini di cui scrive, si avvicina al non-detto. Sempre di più. Il non-detto che lui incontra ha poco da spartire con il mistero dell'arte e molto a che fare con il mistero di innumerevoli vite vissute. Ecco come arriva al dolore del mondo oggi.

L'ideologia consumista, che è diventata la più potente e invasiva del pianeta, vorrebbe persuaderci che il dolore è accidentale, qualcosa contro la quale possiamo anche assicurarci. Questa è la base logica della crudeltà dell'ideologia.
Certo, tutti sappiamo quanto il dolore sia endemico alla vita, e vorremmo dimenticarlo, oppure relativizzarlo. Tutte le varianti del mito dalla caduta all'età d'oro, prima che il dolore esistesse, sono tentativi di relativizzare il dolore sofferto sulla terra. Stessa cosa per l'invenzione dell'inferno, il vicino regno del dolore come punizione, o la scoperta del sacrificio e più tardi, molto più tardi, il principio del perdono. Potremmo dire che la filosofia comincia proprio con la domanda: Perché il dolore?
Eppure, detto questo, il dolore attuale del vivere nel nostro mondo forse non ha precedenti e i saggi che seguono sembrano rivolgere questa questione oppure la pongono come premessa.
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Dovunque la gente, di condizioni molto diverse, si chiede: Dove andiamo? La questione è storica e non geografica. Cosa ci sta succedendo? Dove ci portano? Cosa abbiamo perso? Come si fa a continuare senza una visione plausibile del futuro? Perché abbiamo perso la capacità di vedere oltre le nostre vite?
L’esperto di turno risponderebbe: globalizzazione, postmoderno, rivoluzione delle comunicazioni, liberalismo economico. I termini sono tautologici ed evasivi. Alla disperata domanda: Dove siamo? L’esperto sussurra: Da nessuna parte!
Non sarebbe meglio ammettere e dichiarare che stiamo vivendo il caos più tirannico, forse più pervasivo, che sia mai esistito? Non è facile afferrare la natura della tirannia, perché la sua struttura di potere (che va dalle duecento grandi multinazionali al Pentagono) è intrecciata eppure diffusa, dittatoriale ma anonima, ubiqua ma senza un luogo. Tiranneggia da un luogo offshore, non solo in termini fiscali, ma nei termini di assenza di controllo politico tranne il proprio. Il suo scopo è spiazzare il mondo intero. La sua strategia ideologica (a confronto, quella di Bin Laden è una favoletta) è quella di screditare l'esistente in modo che tutto si riduca ad una versione speciale del virtuale da cui (questa è la dottrina della tirannia) se ne trarrà una fonte infinita di profitto. Sembra una stupidaggine, ma le tirannie sono stupide, e questa sta distruggendo la vita del pianeta in tutti i settori in cui opera.
A parte l'ideologia, il suo potere si basa su due minacce. La prima è l'intervento dal cielo dell'armata più grande del mondo. Potremmo chiamarla la "Minaccia B-52". La seconda è quella di un barbaro indebitamento, bancarotta , quindi potremmo definirla, date le attuali relazioni produttive nel mondo, la "Minaccia Zero".

La vergogna comincia con la contestazione (che tutti riconosciamo da qualche parte ma che, privi di potere, accantoniamo in un angolo) che la maggior parte del dolore attuale si potrebbe alleviare o evitare se si prendessero delle decisioni realistiche e relativamente semplici. Oggi c'è una relazione diretta tra i minuti spesi tra vari meeting e quelli dell'agonia.
Forse qualcuno merita di essere condannato perché non si può permettere trattamenti che costano meno di due dollari al giorno? Questa era una domanda posta dal direttore dell'Organizzazione Mondiale della Sanità lo scorso luglio. L’ha posta mentre parlava dell’epidemia dell’AIDS in Africa e altrove, a causa della quale si stima che moriranno sessantotto milioni di persone nei prossimi diciotto anni.
Sto parlando del dolore di vivere nel mondo attuale.
La maggior parte delle analisi e delle prognosi su ciò che sta accadendo sono comprensibilmente presentate e studiate nel contesto di discipline separate tra loro: economia, politica, studi sui media, salute pubblica, ecologia, difesa nazionale, criminologia, educazione, ecc... In realtà ognuna di esse è associata a un’altra per compensare il vero terreno di ciò che si sta vivendo. Succede che nelle loro vite la gente subisca i torti classificati secondo categorie separate, simultaneamente e inseparabilmente.
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È necessaria una visione interdisciplinare per comprendere cosa sta succedendo, per connettere i "campi" che le istituzioni tengono separati. Ognuna di queste visioni è costretta ad essere politica (nel senso originale della parola). Le premesse del pensare politicamente su una scala globale significa vedere attuarsi l'unità di una sofferenza non necessaria. Questo è il punto di partenza.
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Il prossimo passo implica il rifiuto di tutti i discorsi sulla tirannia. Si tratta solo di merda. In discorsi, annunci, conferenze stampa e minaccie ripetitive e interminabili, i termini ricorrenti sono: democrazia, giustizia, diritti umani, terrorismo. Ogni parola nel proprio contesto significa l'opposto di ciò che significava una volta. Sono state tutte rubate all'umanità, diventando oggetto di traffici vari o parole d'ordine per bande di delinquenti.
La democrazia è una proposta (realizzata raramente) sulle decisioni da prendersi: ha poco a che fare con le campagne elettorali. La promessa della democrazia è che le decisioni vengano prese dopo, alla luce dei fatti, consultando i governati. Questa dinamica dipende dal saper informare adeguatamente la gente sulle questioni di attualità, dalla capacità, dalla voglia di ascoltare e di rendere conto di chi governa. La democrazia non andrebbe confusa con la "libertà" di scelte binarie, la pubblicazione dei sondaggi o il riempire di numeri le statistiche. Queste sono solo le sue pretese.
Oggi le decisioni fondamentali, quelle che influenzano l’inutile dolore del pianeta, sono prese unilateralmente senza alcuna consultazione o partecipazione pubblica.
Ad esempio, quanti cittadini statunitensi, se consultati, avrebbero detto chiaramente sì al ritiro di Bush dal protocollo di Kyoto sugli effetti delle emissioni di gas serra che già provocano disastrose inondazioni in vari luoghi e minacciano disastri peggiori nei prossimi venticinque anni? Nonostante tutti i “manager mediali del consenso”, io sospetto che si tratterebbe di una minoranza.
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Oggi il potere del paese che ha ispirato tali speranze è nelle mani di una coterie di fanatici (che vorrebbero limitare tutto tranne il potere del capitale), ignorante (che riconosce solo la realtà della propria potenza militare), ipocrita (due misure per qualunque giudizio etico: uno per noi e uno per loro), crudeli strateghi da bombardieri. Come è potuto succedere? Come fanno Bush, Murdoch, Cheney, Kristol, Rumsfeld e compagnia (come l’Arturo Ui di Brecht) ad ottenere ciò che vogliono? La domanda è retorica perchè non c’è una sola risposta; ed è inutile perchè nessuna risposta ridurrà il loro potere. Però, chiederselo in questo modo, di notte, sottolinea l’enormità di ciò che è successo. Stiamo parlando del dolore del mondo.
Il meccanismo politico della nuova tirannia, per quanto abbia bisogno di una tecnologia altamente sofisticata per funzionare, è molto semplice. Usurpare le parole democrazia, libertà, ecc. Imporre ovunque, a costo di qualunque disastro, la nuova economia del caos e dell’impoverimento. Assicurarsi che tutte le frontiere funzionino a senso unico: aperte alla tirannia, chiuse agli altri. Eliminare qualunque opposizione definendola terrorista.
Non dimentico la coppia che decise di buttarsi dalle Twin Towers invece di morire nel rogo separatamente.

C’è un oggetto che è come un giocattolo, farlo costa circa quattro dollari ed’è indiscutibilmente terrorista. Si chiama mina antiuomo. Una volta lanciata è impossibile sapere chi o quando mutilerà o ucciderà. In questo momento ce ne sono più di cento milioni sparse o nascoste sulla terra. La maggior parte delle vittime sono state o saranno dei civili. (Leggete il rabbioso saggio di Strauss Ali spezzate). La mina antiuomo mira a mutilare più che a uccidere. Cerca di rendere storpi, ed è progettata con frammenti di metallo che dovrebbero prolungare il trattamento medico della vittima, renderlo più difficile. La maggior parte dei sopravvissuti è sottoposta a otto o nove operazioni chirurgiche. Ogni mese, al momento, duemila civili sono feriti o uccisi da queste mine.
La descrizione antiuomo (ndt: antipersonnel) è linguisticamente assassina. Il personale (ndt: personnel) è anonimo, privo di un nome, senza genere o età. Personale è l’opposto di persone. È una parola che ignora il sangue, gli arti, il dolore, le amputazioni, l’intimità e l’amore. È una parola completamente astratta. Ecco perchè queste due parole, quando vengono collegate ad un esplosivo, diventano terroriste.

La nuova tirannia, come quelle recenti, dipendono in gran parte su un sistematico abuso del linguaggio. Insieme dobbiamo reclamare le nostre parole prese in ostaggio e rifiutare gli eufemismi criminali della tirannia; altrimenti, ci resterà soltanto la parola vergogna.
Non si tratta di un compito facile perchè la maggior parte dei suoi discorsi è illustrativa, associativa, evasiva, piena di allusioni. Poche sono le cose dette in bianco e nero. Gli strateghi economici e militari ora sanno che i media hanno un ruolo centrale, non tanto allo scopo di sconfiggere il nemico del momento, ma per prevenire ribellioni, proteste o diserzioni. Ogni manipolazione dei media da parte della tirannia è un segnale delle sue paure. Quella attuale vive nella paura della disperazione del mondo. Una paura tanto profonda che l’aggettivo disperato (tranne quando significa pericoloso riferendosi a qualcun altro) non viene mai utilizzata.

Senza soldi ogni bisogno umano quotidiano diventa un dolore.

Coloro che hanno usurpato il potere (senza averne diritto, ma solo riconoscendo una continuità di quel potere al di la delle elezioni presidenziali), pretendono di salvare il mondo e di offrire alla popolazione l'opportunità di diventare suoi clienti. Il consumismo mondiale è sacro. Quello che non dicono è che i consumatori contano solo perché generano profitto, la sola cosa veramente sacra. Questo inganno ci riporta al punto centrale.
La rivendicazione di salvare il mondo maschera le ipotesi dei cospiratori secondo le quali una gran parte del mondo (l’Africa e una parte considerevole del Sud America) sia irredimibile. In effetti, ogni angolo che non può essere parte del loro centro è irredimibile. Questa conclusione segue inevitabilmente il dogma che la sola salvezza sia il denaro, e l’unico futuro globale è quello sul quale insistono le loro priorità, che sotto falso nome, in realtà non sono altro che il loro beneficio.
(...)
Ogni forma di contestazione contro questa tirannia è comprensibile. Nessun dialogo è possibile. Perche noi possiamo vivere e morire adeguatamente abbiamo bisogno di dare alle cose il proprio nome. Rivendichiamo le nostre parole.

Tutto questo è scritto alla sera. Alla luce della sua intelligenza e compassione David Levi Strauss ci parla di ciò che è stato dimenticato, di ciò che è stato sistematicamente distrutto e di ciò che dobbiamo ricordare per il domani.

In guerra l’oscurità non prende parte, nell’amore l’oscurità conferma la nostra unione.

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