programma

Verso un'evoluzione della Rete sociale e socializzata
(oltre che trasparente)
di Bernardo Parrella


“Al momento Internet è una grande illusione di democrazia. È totalmente controllata dall’alto e completamente centralizzata”. Questa l’affermazione, realista ancor prima che provocatoria, intorno a cui ruotava l’intervento di Douglas Rushkoff in un convegno organizzato a New York City sul finire del 2010 dal Personal Democracy Forum e centrato sulle tematiche relative a WikiLeaks, legislazione e  libertà online. L’idea portante dell’evento era quella di esaminare dinamiche e ricadute della saga in divenire legata alla figura di Julian Assange e, ancor meglio, all’emergere di quel movimento globale per la trasparenza in cui vanno più correttamente inquadrate le attività e le rivelazioni di WikiLeaks.
È in questo contesto evolutivo, della Rete e della società in generale, che va sottolineata una simile posizione di Rushkoff – autore di decina di libri su temi legati a società, media ed economia, tra cui Media Virus (1996) Cyberia (in italiano presso Urra, 1994), Get Back in the Box (2007) e il recente Life Inc: How the World Became a corporation and how to Take it Back, oltre che critico dei media affermatosi ben oltre i confine statunitensi e qualificato partecipe della Rete sociale fin dai suoi albori, oltre 25 anni fa. Un impegno alquanto articolato il suo, poco allineato con le mode cyber-aggregative e pienamente confermato dalle tesi parimenti originali espresse  delle pagine precedenti – che il vostro umile traduttore spera di aver reso al meglio in italiano. Tesi particolarmente importanti per il panorama nostrano, spesso teso all’affermazione dei gadget in quanto tali e restio ad analisi (e pratiche) meno ovvie su tematiche poco battute. In tal senso, anzi, la produzione pluri-decennale di Rushkoff va considerata un pungolo continuo per l’attivazione di modalità condivise e dal basso tramite cui Internet possa (e debba) diventare un’arena di discussione genuinamente aperta al pubblico, una piazza cittadina di dimensioni globali dove chiunque possa esprimersi. Per essere più precisi, un’Internet la cui architettura portante sia davvero libera dal controllo statale o imprenditoriale, decentralizzata e fluida come la vita stessa. “La realtà è che non abbiamo l’Internet che pensiamo di avere – quella sorta di rete peer-to-peer, decentralizzata, incontrollabile, anarchica che molti si auguravano all’epoca della sua nascita”, insisteva anche in quell’occasione l’autore di Program or Be Programmed.
Posizione poi articolata meglio in uno dei suoi tanti interventi su testate d’informazione online, stavolta dedicato alla ‘prossima Rete’, che ha stimolato migliaia di commenti e di email, e dove si leggeva fra l’altro:Ovviamente Internet non è mai stata veramente libera, decentralizzata o caotica. Certo, venne programmata con molti nodi e ridondanze per poter resistere agli attacchi nucleari, ma è stata sempre e assolutamente sotto il diretto controllo delle autorità centrali. … Non si tratta certo di demoralizzare nessuno né di minimizzare le potenzialità del ‘fare network’. Voglio soltanto smitizzare l’idea fantasiosa per cui Internet sia qualcosa di incontrollabile, decentralizzato, libero e gratuito per tutti – in modo da consentire a tutti noi di procedere a creare qualcos’altro di diverso dall’attuale.
Pessimismo galoppante? No, tutt’altro. Piuttosto un’incitazione a smascherare ogni illusione e a darci da fare in prima persona per cambiare la situazione. Un appello in sintonia con le stesse incursioni di WikiLeaks, che hanno dato linfa a una nutrita schiera di attivisti a sostegno della democrazia (con la d minuscola) e della trasparenza, oggi più che mai impegnati a rendere più aperte e responsabili le istituzioni governative e le corporation del pianeta, ricorrendo a strumenti e metodi inediti basati sulle tecnologie mobili e digitali. Oltre che un’estensione di quanto accennato nell’introduzione del libro che avete per le mani: il “tentativo di affrontare la ‘poetica’ dei media digitali … per aprirci un varco nel magma digitale … per equilibrare le tendenze insite nei media digitali in base alle necessità reali di persone che vivono e lavorano in spazi sia fisici sia virtuali, talvolta finanche nello stesso istante”. In altri termini: questo momento storico è cruciale per la messa a punto di tecnologie e reti che nascondano in sé l’effettiva potenzialità di trasformare l’economia, l’ecologia e la società in maniera più profonda e intenzionale di quanto sia mai accaduto finora lungo il percorso evolutivo della specie umana. E poiché l’era digitale appartiene a tutti noi, è vitale ricreare e diffondere ovunque possibile aggregazioni in ‘stile bazaar’ (ben documentate nel capitolo 8 del libro), occasioni ed eventi caratterizzati da una molteplicità di interessi e relazioni, strettamente interconnessi tra loro, dove “tutti parlavano con tutti gli altri, su temi e idee d’ogni tipo”.
Non a caso proprio le moltissime reazioni suscitate, online e offline, dall’articolo di cui sopra in cui Douglas Rushkoff spingeva per la costruzione della ‘prossima Rete’, lo hanno spinto a trovare fondi e supporto per lanciare il Contact Summit, iniziativa aperta a tutti e mirata a catalizzare progetti di base a sostegno della comunicazione, del commercio e della cultura di taglio peer-to-peer. Nell’evento pubblico di fine ottobre 2011 a New York City confluiranno tecnologi e artisti, filantropi e imprenditori, e chiunque altro sia interessato al futuro in rete per “generare nuove idee, avviare collaborazioni e dar vita a una community ispirata all’innovazione nei social media e oltre”. Più che relazioni e interventi dal palco, l’obiettivo centrale è quello di creare un ‘open market’ dove la gente potrà esporre e discutere le idee migliori, proprio come nei bazaar tuttora vivaci in molte regioni del vicino Oriente, nonché in certe sagre paesane della penisola italica. E alla fine della giornata, onde non sottovalutare la praticalità operativa del cambiamento, le tre proposte migliori riceveranno un assegno di 10.000 dollari cadauna per la successiva implementazione.
Mentre la conversazione è in corso sul sito Contactcon.com e nei vari sul ambiti social (inclusa la pagina su Facebook e l’hashtag #nextnet su Twitter), Rushkoff continua a chiarire il senso e la portata di questa svolta condivisa a livello globale in diversi ambiti online. Come scriveva in articolo di qualche mese fa su Shareable.com per preannunciare il lancio del progetto:.
[...] Speriamo di ridar vita a quello spirito di ottimismo e di possibilità infinite che permeava la prima cyber-era, ripiegando le estremità di questa cultura verso l’interno. Oggi i social media vengono intesi per lo più come un’opportunità di marketing. Noi invece ne riconosciamo la forza portante come stadio successivo dell’evoluzione umana e, quanto meno, la capacità di restaurare il valore dello scambio basato sul p2p e sull’innovazione decentralizzata  ai settori della cultura, del commercio e delle istituzioni pubbliche.
Concetti ampliati ancora nel corso di WebVisions, conferenza pre-estiva in Oregon, con una sorta di presentazione dei ‘dieci comandi per l’era digitale’ illustrate nelle pagine precedenti (video-intervento caldamente consigliato). Senza dimenticare un’ulteriore serie di domande e riposte tese a chiarire, per esempio, come i veri clienti di Facebook siano gli inserzionisti e non gli utenti, ponendoci in un ambito assai simile all’odiata TV e con l’assoluta assenza di privacy individuale; o come sia cruciale acquisire quel minimo di istruzione digitale e rispettare i tradizionali contratti sociali allo scopo di ri-umanizzare la cultura online e di riappropriarci degli strumenti partecipativi del digitale. A scanso di equivoci, Douglas Ruskhoff non è certo il solo a sostenere simili tesi, tutt’altro: queste posizioni sono schiettamente condivise da un ampio numero di uomini e donne che partecipano a pieno titolo del villaggio globale, dagli utenti di primo pelo fino ai nativi digitali. E al pari del movimento mondiale per la trasparenza, al cui interno si muovono iniziative disparate e finanche potenti come WikiLeaks, anche l’affermazione diffusa del bazaar online richiede una progettualità dinamica e un forte magma partecipativo per potersi imporre a scapito del controllo, strisciante o palese, che governi e corporation di ogni parte del mondo vorrebbero continuare ad esercitare. Un filo rosso che collega fra loro le prime BBS e reti quali FidoNet dell’inizio degli anni 1990 e il software libero e open source, le mille facce del giornalismo partecipativo e gli standard aperti e le licenze Creative Commons, fino all’attuale esplosione dell’Internet sociale nelle sue varie forme. Insomma, in questo snodo cruciale per l’evoluzione umana il ruolo di Internet si fa sempre più centrale, con tutti gli annessi e connessi. Occorre far sì che divenga sempre più strumento di partecipazione e impegno, e sempre meno illusione di democrazia. “Quel che sarà dipende da tutti noi”, nel motto di Howard Rheingold, uno dei pionieri della socialità online. Oppure, riprendendo Micah Sifry, co-manovratore del Personal Democracy Forum: “Il vecchio modo di fare le cose sta scomparendo e ne sta nascendo uno nuovo. Abbiamo bisogno di altre levatrici”. Come la mettiamo, allora? Be’, non resta che rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Qui e ora.


Bernardo Parrella
http://gplus.to/bparrella




postmedia books