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L'exforma
Otto anni dopo la pubblicazione de Il radicante con L'Exforme Nicolas Bourriaud compie una straordinaria meditazione sulla nostra condizione nell'era della moltiplicazione degli scarti, degli sprechi del capitalismo, di un consumismo ingiustificato, di industrializzazioni e sogni nucleari infranti. Come si impara a vivere in un mondo di scarti? Per Nicolas Bourriaud, la risposta è chiara: tale apprendimento non può essere pensato senza l'aiuto di un arte che ha smesso di preoccuparsi di se stessa. Ciò di cui abbiamo bisogno è inventare forme di vita "exformi", che accettano di confrontarsi con il fatto che esse stesse stanno diventando scarti. Ispirato agli scritti di Karl Marx, Walter Benjamin e Louis Althusser, Nicolas Bourriaud propone una visita all'interno di una nuova "fantasmagoria del capitale", una potente meditazione sulla condizione politica di oggi e un tentativo di definire le coordinate esistenziali del presente. Come abbiamo visto, tutti i testi di Bourriaud e in particolare Il radicante reagiscono alle storture del presente, che siano esse determinate dal dominio del sistema di mercato, della comunicazione o della globalizzazione. Con L'exforma tale reazione giunge al massimo grado di specificità (e, ancora una volta, di radicalità). Anche in questo nuovo testo si mescolano taglio descrittivo e prescrittivo, ma qui l'autore propende decisamente per il secondo. Dopo l'elogio del meticciato, si tratta qui di tessere l'elogio della marginalità, facendone un paradigma fondamentale dell'arte d'oggi. Ed è allo stesso tempo una necessità e un atto di giustizia.
D'altronde "cos'è una politica progressista se non tenere in considerazione gli esclusi?", scrive Bourriaud. Ma più che di valorizzare la zona di marginalità conclamata, si tratta di rivolgersi, coerentemente ancora una volta con la concezione di "interstizio sociale", alla zona di passaggio tra centralità e marginalità, al processo di marginalizzazione, insomma a un differenziale più che a una condizione stabile di marginalità. L'exforma è "la forma coinvolta in una procedura di esclusione o di inclusione, cioè ogni segno in transito tra il centro e la periferia, fluttuante tra dissidenza e potere". In biopolitica la conseguenza di questo movimento di espulsione è costituita dalle "frontiere ideologiche [che determinano] il governo dei corpi umani, in seno a una società" . In arte, "una spartizione costantemente rinegoziata tra il significante e l'insignificante". È evidente come, in questa concezione, etica ed estetica siano strettamente intrecciate, come esista "un vero legame organico tra l'estetica e la politica" .
"Exforma" può sembrare un termine un po' stravagante, ma ciò che vuol dire è abbastanza chiaro e Bourriaud lo definisce con precisione nelle prime pagine: la forma intrappolata in un processo di esclusione o di inclusione, con i segni che viaggiano tra il centro e la periferia. Visto in questo modo, l'exforma può essere sia una categoria estetica che politica, o meglio ancora, la cerniera che permette appunto di articolare estetica e politica. Negli ultimi due decenni, la struttura stessa del discorso artistico è stata focalizzata su temi legati all'esclusione, del tipo "centro contro periferia", relazioni di potere, i confini, le minoranze, le situazioni suburbane... Ciò che mi ha portato a questa ricerca è il fatto che queste dinamiche non hanno trovato alcuna traduzione sul terreno estetico. La mia domanda era: se l'esclusione è il concetto chiave, come fanno gli artisti a tradurlo visivamente? E che tipo di forma vuol produrre? Così ho cercato di individuare questa specifica forma e dargli un nome. Quello che io chiamo "exforma" è una forma confiscata da paletti di esclusione, sia culturali che sociali o politici. Una forma i cui contorni sono delimitati dalle resistenze che deve affrontare, come un territorio in movimento attraversato da forze centrifughe e centripete, da meccanismi di rifiuto e di riabilitazione.
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