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Sulla necessità del Senza titolo
I titoli delle opere d'arte rappresentano un'invenzione relativamente moderna, introdotta formalmente nella storia dell'arte occidentale a partire dal XVIII secolo. Nonostante il loro utilizzo si sia diffuso solo negli ultimi secoli, oggi siamo abituati al fatto che le opere d'arte abbiano un titolo distintivo. Eppure i titoli non sono sempre esistiti. Nella loro funzione condizionano la percezione delle opere d'arte e favoriscono una lettura e un'interpretazione a scapito di un'altra, determinano anche l'interesse o la curiosità che un'opera desta. Infatti, spesso è proprio dal titolo inserito nella didascalia inizia la relazione tra spettatore e opera d'arte. Sostanzialmente sono un vero e proprio nome che determina spesso l'identità e la comprensione di ciò che è rappresentato. Spesso addirittura iscritti, incisi a volte dall'artista stesso o inseriti nelle didascalie, i titoli accompagnano l'opera come dei veri e propri certificati di battesimo. Attraverso l'atto di apposizione del titolo gli artisti talvolta ritengono il lavoro finito, completato. Ma se il titolo detiene un'importanza tale, come è possibile che prima del XVIII secolo non siano stati utilizzati dagli artisti? E come mai capita di incontrare opere d'arte contemporanea che non hanno il titolo? Il pubblico vuole spiegazioni su un dipinto. Cosa aveva in mente l'artista quando l'ha realizzato. A cosa stava pensando. Qual è il nome esatto del quadro e cosa intende dire l'artista? […] Il pubblico protesta e chiede spiegazioni, e le spiegazioni vengono date liberamente e generosamente. Significati? Nomi? Storie brevi? Beh, inventiamoli, dopotutto. Il pubblico rifiuta di vedere la pittura. Vuole ascoltare la pittura. Non gli interessa la mostra in sé, preferisce ASCOLTARE l'imbonitore fuori. Conferenze gratuite ogni ora per i non vedenti, intorno al Museo. Da questa parte, per favore. Credo che il motivo per cui non li titolo sia che non penso che il lavoro riguardi le illusioni. E credo che i titoli lo siano sempre. Penso che il lavoro riguardi molto quella cosa lì nello spazio, letteralmente. E i titoli mi sembrano sempre un'allusione a ciò che la cosa non è, ed è per questo che evito i titoli. Niente linee o immaginazioni, niente forme o composizioni o rappresentazioni, niente visioni o sensazioni o impulsi, niente simboli o segni o impasti, niente decorazioni o colorazioni o immagini, niente piaceri o dolori, niente incidenti o ready-made, niente cose, niente idee, niente relazioni, niente attributi, niente qualità - niente che non sia dell'essenza. Tutto è irriducibile, irriproducibile, impercettibile. Niente di 'utilizzabile', 'manipolabile', 'vendibile', 'commerciabile', 'collezionabile', 'afferrabile'. L'arte non è una merce o un'attività commerciale. L'arte non è il lato spirituale degli affari. Titolo, o 'dignità, grado che conferisce distinzione, onore. Iscrizione sotto una statua, un dipinto, un sepolcro, un trofeo. Denominazione: il titolo di un'opera. Ragione, diritto: in base a quale titolo...?
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postmedia books | Chiara Ianeselli è una storica dell'arte, laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi di ricerca su Roberto Crippa. Dopo la laurea specialistica in Storia dell'Arte e la partecipazione al de Appel Curatorial Programme di Amsterdam, ha conseguito il Dottorato in Analisi e Management dei Beni Culturali presso la IMT School for Advanced Studies Lucca, con una ricerca focalizzata sui titoli delle opere d'arte. Ha lavorato a numerose manifestazioni internazionali, tra cui dOCUMENTA (13), la 14a Biennale di Istanbul e documenta fifteen, dove ha ricoperto il ruolo di Coordinatrice curatoriale. Attualmente collabora con il MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo e coordina lo sviluppo di un nuovo polo museale.
Chiara Ianeselli | Sulla necessità del Senza titolo | Postmedia Books 2025 |
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